INCONTRI CON L’INTERPRETE – Giorgio Lazzari

Intervista a Giorgio Lazzari

a cura di Riccardo Cancelli

 

Vincitore del terzo premio al prestigioso “International Telekom Beethoven Competition Bonn” e del primo premio al “R. Schumann Competition Düsseldorf“, il pianista Giorgio Lazzari si è già esibito sia in veste di solista che di camerista in diverse città europee all’interno di prestigiosi festival (Klavier-Festival Ruhr, Schumannfest di Düsseldorf, Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, Milano Musica, Musica Insieme Bologna, Teatro Ponchielli di Cremona, Trame Sonore, Harmonies en Livradois), riscuotendo successi da parte della critica.

Nato nel 2000, si è diplomato recentemente con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore presso il Conservatorio G. Donizetti di Bergamo, sotto la guida di Maria Grazia Bellocchio. Partecipa regolarmente a masterclass di pianoforte e musica da camera sia in Italia che all’estero e, accanto all’attività solistica, si dedica assiduamente alla musica da camera. Rivolge inoltre un’attenzione particolare al repertorio contemporaneo, ed ha preso parte, in duo con Émilie Chigioni, ai Call for young Performers 2020 e 2021 organizzati da Divertimento Ensemble ed incentrati sulla produzione di Stefano Gervasoni ed Alessandro Solbiati. 

Già ospite della “Rassegna Giovanissimi“ GIA nel 2019, Giorgio Lazzari debutterà nel cartellone principale sabato 2 aprile 2022 all’Auditorium San Barnaba di Brescia per il quarto appuntamento della 52^ Stagione Concertistica.

 

Nel 2019 hai suonato per la “Rassegna Giovanissimi” della GIA. Come ricordi quell’esperienza e come ti vedi ora, a distanza di tre anni, al debutto nella stagione principale?

Ricordo molto bene il concerto del 2019, in quanto ero stato molto felice che il Maestro Motterle mi avesse proposto di partecipare a questa stagione; in quell’occasione avevo suonato le Variazioni Goldberg di J. S. Bach, che era l’opera su cui mi stavo focalizzando in quel momento e che poi mi ha accompagnato anche all’esame finale del Triennio Accademico. Ho un bel ricordo per svariati motivi: innanzitutto suonare un’opera come le Goldberg su un pianoforte di qualità è sicuramente una bella esperienza; esibirsi poi in una stagione dedicata ai giovani pianisti, accanto a un cartellone che vede al suo interno dei grandi nomi, è stata un’enorme emozione.
Nel corso di questi tre anni sono cambiate un po’ di cose: recentemente mi sono diplomato, studiando a Bergamo con la Maestra Bellocchio, e direi che ho avuto modo di approfondire diversi aspetti sia musicali che personali, complice il lockdown per il fatto di aver avuto molto tempo, da dover necessariamente passare in casa da solo, da dedicare allo studio, e complice anche l’esperienza dei due concorsi internazionali a cui ho preso parte di recente, che sono senza dubbio due importanti occasioni di crescita, per cui sono molto felice di tornare a suonare alla GIA per la stagione principale. 

 

Recentemente hai conseguito la laurea di secondo livello. Che cosa hai suonato nell’occasione e che progetti hai in serbo per il tuo futuro?

Ho studiato per dieci anni all’Istituto Superiore di Studi Musicali “Donizetti” di Bergamo e mi sono laureato il nove marzo di quest’anno suonando la Sonata Hob. XVI: 44 in sol minore di Haydn e la Sonata in si minore di Liszt. È stato un momento emozionante perché si è concluso un percorso durato molto tempo all’interno di una scuola che mi ha aiutato a crescere e a formarmi sotto diversi aspetti, ma anche a entrare in contatto con persone che tutt’ora sono per me dei riferimenti, sia tra i docenti, sia tra i ragazzi con cui ho condiviso gli studi. È stata sicuramente la chiusura di un capitolo ed è un momento di cambiamento, anche perché da inizio aprile mi recherò a Berlino, dove sono stato ammesso alla Heusinger Musische Schule, presso la quale proseguirò gli studi. Avere la possibilità di formarsi all’estero con insegnanti nuovi e in un ambiente più ampio, con un’offerta culturale molto variegata è davvero molto stimolante.

 

Nella tua formazione, oltre ai corsi accademici, rientrano le partecipazioni a numerose masterclass. In che modo trovi costruttivo il confronto con altri musicisti?

A mio parere, un giovane musicista dev’essere molto fortunato nel trovare sin da subito un insegnante valido e che possa aiutarlo ad esprimersi al meglio delle sue capacità; questo anche perché finché si è vincolati alla frequenza in un liceo non è possibile andare a perfezionarsi in un’altra città, o comunque risulterebbe difficile. Ho partecipato ad alcune masterclass ed ho avuto modo di lavorare con alcuni insegnanti, in realtà non tantissimi, anche un po’ per scelta, perché preferivo in quel momento concentrarmi su una ricezione di opinioni da un punto di vista univoco, per cui da parte di un solo insegnante; è vero però che negli ultimi anni sono riuscito a seguire molte masterclass con il maestro Pavel Giligov, ma anche diverse master di musica da camera, come quelle con il maestro Salvatore Accardo a Cremona e all’Accademia Chigiana di Siena e con Marc Bouckhov all’Accademia del Liechtenstein. Tutto questo è stato molto formativo: mentre il percorso con un insegnante che ci segue a cadenza settimanale dev’essere quello di una crescita graduale, l’approccio con cui invece si deve affrontare una masterclass è di arrivare con i brani più pronti possibile ed essere disponibili ad accogliere i consigli, i suggerimenti e le opinioni dei musicisti con cui abbiamo modo di confrontarci.

 

Avendo vinto il primo premio al “Robert Schumann Competition” di Düsseldorf, hai un rapporto particolare con questo compositore?

Schumann è un compositore che ho sempre sentito molto vicino anche da un punto di vista personale, oltre che musicale. Ho poi un ricordo dei primi anni del Conservatorio, quando il mio insegnante mi propose di affrontare Papillons op. 2, perché fu uno di quei momenti in cui sentii che il pianoforte poteva essere la mia strada. Così, partecipare al Concorso Schumann è stata un’esperienza emozionante, anche se non facile, dal momento che si è tenuto in modalità mista tra online e presenza. In quell’occasione ho avuto modo di suonare la Sonata in fa minore op. 14, conosciuta anche come “Concerto senza orchestra”, che è anche il brano con cui ho vinto il premio speciale per la migliore interpretazione di un’opera di Schumann e a cui sono profondamente legato.

 

Come hai vissuto invece l’esperienza del Concorso Beethoven?

È stata sicuramente un’esperienza indimenticabile e molto intensa, che mi ha lasciato un ricordo molto positivo. Non considererei come Concorso i soli dieci giorni trascorsi a Bonn per tutte le prove, ma anche, e forse soprattutto, la fase precedente: i mesi di preparazione in cui ho cercato di focalizzarmi al meglio sul repertorio, per dare il massimo; inoltre, nel caso di alcuni brani, come la Sonata op. 111, il Concorso vedeva realizzarsi lo studio di anni. Da questa esperienza sento di aver imparato molto dal punto di vista artistico, in quanto ora so come gestirmi al meglio nel momento in cui salgo sul palco, ma questa mi ha permesso anche di confrontarmi con molti altri ragazzi provenienti da realtà musicali diverse dagli orizzonti entro cui mi ero mosso fino a quel momento.

 

Al concerto del 2 aprile per la Stagione GIA porterai brani di Beethoven, Prokof’ev e Skrjabin. Come hai scelto questo programma? C’è qualche aspetto che lega queste opere?

Sia la prima che la seconda parte di questo concerto giocano sull’accostamento tra una sonata, l’op. 111 di Beethoven e l’op. 83 di Prokof’ev, e altre opere composte da pezzi più brevi, ossia le Bagatelle op. 126 di Beethoven e i Cinque Preludi op. 74 di Skrjabin. Anche se si tratta di compositori e opere diverse, possiamo assistere a qualcosa di abbastanza unico, in quanto le Bagatelle, come i Preludi, sono concepite come opera unitaria, mentre le due Sonate rappresentano due capisaldi della letteratura pianistica del giorno d’oggi.

L’op. 74 è l’ultima opera composta da Skrjabin per pianoforte: si tratta di composizioni dal carattere molto afrodisiaco, oserei dire; sembra poi che Skrjabin avesse un rapporto particolare con il secondo Preludio di quest’opera, che andava a evocare secondo lui qualcosa di esoterico, molto vicino agli ambienti che egli frequentò nell’ultima fase della sua vita. Le due Sonate, invece, sono entrambe molto emblematiche: l’op. 111 è stata uno spartiacque per quanto riguarda la gestione della forma-sonata e il modo di comporre sonate nel periodo classico, mentre la settima Sonata di Prokof’ev, che appartiene al blocco delle “Sonate di guerra“, ha un carattere molto forte e moderno: il primo movimento della Sonata è chiaramente atonale, ma ogni movimento è fortemente caratterizzato. Si è anche cercato di risalire a delle idee letterarie per giustificare la composizione di quest’opera, anche se non si è purtroppo giunti a risposte certe. Possiamo però dire che il primo movimento ha un carattere “bellicoso”, per riprendere l’aggettivo proposto da Skrjabin nell’ultimo preludio dell’op. 74. Sono quindi tutte opere realizzate da questi compositori nel periodo della loro maturità e restituiscono, ognuna a modo proprio, un particolare senso di unicità.

 

Nella tua attività dedichi un ampio spazio alla musica contemporanea. Cosa ti ha portato ad avvicinarti ad essa?

È un interesse che mi è stato trasmesso dalla mia insegnante, in quanto è una delle interpreti più accreditate in Italia per quanto riguarda la musica contemporanea. Nel corso degli anni ho avuto modo di approcciarmi a diverse opere: tra le esperienze che ho più a cuore c’è sicuramente l’opportunità di lavorare, in diverse occasioni, con il compositore bergamasco Stefano Gervasoni, che attualmente è docente al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi; con lui ho avuto modo di lavorare sia a un’opera per pianoforte solo, Le Pré, che a un’opera cameristica, la Sonatinexpressive per violino e pianoforte. Queste collaborazioni, come quelle con Gervasoni o Solbiati, mi hanno aiutato molto a conoscere la figura del compositore, che rimane in parte ignota a noi musicisti classici, in quanto ci imbattiamo più spesso in opere composte centinaia di anni fa; avendo l’opportunità di conoscere un compositore, confrontandosi con lui si ha invece una percezione alquanto diversa.
Studiando musica contemporanea, molto spesso ci si confronta con delle opere di cui ancora non esistono incisioni, perciò è necessario fare un importante lavoro di presa di consapevolezza dell’opera per costruire un approccio identitario all’interpretazione.
Devo dire poi che, avendo approfondito sia lo studio della musica contemporanea, sia quello del clavicembalo, noto che, per quanto le due esperienze possano sembrare distanti, presentano invece delle somiglianze: in entrambi i casi ci è richiesto di uscire dalla nostra zona di comfort e di confrontarsi con il problema di decifrazione del segno, comune ad esempio nei manoscritti antichi.
Alla luce dell’esperienza della musica contemporanea, quando si ritorna ad affrontare il repertorio più consueto, ci si trova con una marcia in più.

 

Una tua registrazione che vorresti presentare ai nostri lettori?

Sceglierei la Sonata op. 14 di Schumann, che avevo eseguito in occasione del secondo round del Concorso Schumann e con la quale avevo vinto il Premio speciale. Si tratta di un’opera a cui sono molto legato perché mi ha sempre accompagnato, anche durante il primo lockdown, ed è anche un brano che ho ascoltato fin da piccolo, in particolare nell’incisione di Maurizio Pollini.
La registrazione che propongo è stata effettuata nel febbraio del 2021, presso lo splendido auditorium del Museo del Violino di Cremona.