Intervista a Eleonora Matsuno,
primo violino del QUARTETTO INDACO
a cura di Dario Falcone
Giovedì 31 ottobre 2024, in occasione della 53^ Stagione Concertistica GIA, avremo l’onore di ascoltare a Brescia presso l’Auditorium San Barnaba il Quartetto Indaco, gruppo cameristico pluripremiato e con un’intensa attività concertistica. Il programma, vario e raffinato, accosta al lirismo struggente della celebre pagina Crisantemi di Giacomo Puccini una prima esecuzione del violoncellista del quartetto, Cosimo Carovani, che, con i suoi riferimenti alla cultura poetico-musicale tedesca, ci porterà verso due grandi capolavori della letteratura quartettistica: il Quartetto op. 95 di Beethoven e il Quartetto op. 44 n. 2 di Mendelssohn.
Ho avuto occasione di incontrare Eleonora Matsuno, primo violino del Quartetto, e di rivolgerle qualche domanda.
Come nasce il tuo amore per la musica? Tu e gli altri componenti del Quartetto avete avuto percorsi di studio simili?
Ho sempre respirato musica in casa: il lato paterno della mia famiglia è giapponese, ed è tradizione in Giappone che ogni bambino abbia almeno un’esperienza con uno strumento, solitamente il pianoforte. Io infatti ho mosso i miei primi passi in una scuola Yamaha a quattro anni, e proprio con il pianoforte, anche se il violino è arrivato quasi subito.
Nel nostro Quartetto però abbiamo avuto inizi molto diversi. Jamiang è stato indirizzato dalla nonna, meravigliosa violinista e didatta. Ida ha iniziato a dodici anni, in un’età con una consapevolezza diversa, ed è stata una sua fortissima volontà quella di iniziare a suonare. Cosimo è stato “piazzato” ad un campus estivo a otto anni perché i genitori dovevano lavorare e ha scelto il violoncello “perchè si suona seduto” (risata); era già stanco a quell’età!
Come ti sei avvicinata al violino?
Se devo essere sincera, è stata una scelta dai miei genitori e fino ai diciassette anni ho pensato che avrei lasciato gli studi per perseguire una carriera da architetto… Poi è arrivata la prima prova di quartetto (una “materia” obbligatoria in Conservatorio) e sono stata letteralmente folgorata da questa formazione, dal repertorio, dal tipo di studio, tanto che è diventata la mia vocazione.
Quale repertorio prediligete studiare e proporre in concerto?
Siamo orgogliosi di essere piuttosto eclettici nelle nostre scelte, anche perché abbiamo quattro personalità molto diverse! Jamiang ad esempio suona molto repertorio barocco, mentre Cosimo è compositore… Amiamo tutto ciò che è in mezzo e crediamo che ogni esperienza sonora vada ad arricchire il nostro bagaglio di colori e che possa poi contagiare positivamente il resto del repertorio.
Il 31 ottobre, per il concerto della Stagione GIA, proporrete un programma molto vario. Vuoi parlarcene?
Se spesso proponiamo programmi tematici, per questo programma il vero filo conduttore è una specie di summa dei nostri momenti più memorabili dell’anno. In primis, l’omaggio a Giacomo Puccini, di cui ricorre il centenario dalla morte, con il suo celebre “Crisantemi”. A seguire, un brano del nostro violoncellista Cosimo Carovani scritto appositamente per il nostro album uscito la scorsa primavera. Proseguiremo con Beethoven “Serioso”, il brano con cui abbiamo debuttato a febbraio in una delle più importanti rassegne quartettistiche mondiali, ovvero la String Quartet Biennale Amsterdam, e per finire Mendelssohn op. 44 n. 2, un brano meraviglioso che invece ha segnato la nostra ultima tournée in Giappone e che pensiamo ci rappresenti bene in questo momento del nostro percorso. Dunque, in fondo, si potrebbe definire un omaggio al nostro Quartetto!
Anche la composizione di Carovani sembra legata alla cultura tedesca. È una sorta di ponte tra Puccini, Beethoven e Mendelssohn?
In effetti il titolo In seinem Schatten tradisce un rapporto con il mondo austro-tedesco, ed in effetti è una dedica ad un grande compositore, ovvero Franz Schubert. Cosimo ha sicuramente un legame profondo con quel mondo, avendo studiato ad Hannover per sei anni ed essendo un profondo amante della letteratura tedesca e dei Lieder di Schubert.
Vi capita di proporre spesso prime esecuzioni? Che rapporto avete, in generale, con la musica contemporanea?
A volte ci capita di proporre prime esecuzioni, ma siamo molto selettivi nella scelta dei brani. Cerchiamo una connessione autentica con la musica che portiamo sul palco. La nostra filosofia nell’integrare brani contemporanei nei programmi di concerto nasce dalla convinzione che, senza offrire e interpretare opere nuove, il repertorio e la creatività rischiano di arrestarsi. La musica classica è un’arte in continua evoluzione, e riteniamo fondamentale portare questa evoluzione davanti al pubblico.
Il nostro desiderio è che l’ascoltatore possa vivere l’esperienza di qualcosa di inaspettato: non solo brani conosciuti interpretati in modo diverso, ma anche composizioni inedite, che possono sorprendere, emozionare o persino scuotere. Crediamo che solo attraverso l’esplorazione di queste novità la musica possa rinnovarsi continuamente e continuare a dialogare con il presente.
Pensi che la musica possa avere un ruolo determinante nella società? In particolare, una formazione “equilibrata” come quella quartettistica mi sembra un bellissimo esempio di una visione comune che nasce proprio dalle singole differenze individuali.
A volte ridiamo di noi stessi definendoci un esperimento sociale alla “Grande Fratello”. Tante ore insieme tra prove, viaggi e concerti ci portano a doverci confrontare costantemente con le nostre vulnerabilità, sia musicali che personali. È fondamentale per cui trasformarle in un punto di forza, come segni distintivi delle nostre personalità e imparare a trovare l’unione e la comprensione necessaria perchè questo si traduca in musica.
La nostra società tende a cancellare ciò che non risulta “vincente”, ma quello che ci insegnano i più grandi compositori è proprio che solo accogliendo le nostre fragilità possiamo essere degli artisti e delle persone migliori.
Per concludere, ci proporresti una vostra esecuzione da ascoltare?
Quest anno sono usciti ben due nostri CD e il brano che vi consigliamo è l’ultimo Quartetto di Schubert, il D887, un testamento della sua estetica malinconica a cavallo tra classicismo e romanticismo.