INCONTRI CON L’INTERPRETE – Erica Piccotti e Matteo Fossi

Intervista a Erica Piccotti e Matteo Fossi

a cura di Riccardo Cancelli

 

La giovane violoncellista Erica Piccotti, nata a Roma nel 1999 e diplomatasi a soli 14 anni, è stata nominata “Young Artist of The Year” dalla giuria dell’International Classical Music Award 2020 e ha già alle spalle il debutto discografico per Warner Classics, il debutto concertistico in diretta Rai da Montecitorio a fianco di Mario Brunello per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il conferimento dell’onorificenza di Alfiere della Repubblica. Affermatasi in numerosi concorsi nazionali e internazionali, svolge un’intensa attività concertistica, sia come solista sia in formazioni cameristiche, che l’ha portata ad esibirsi in sale prestigiose.

Matteo Fossi, fiorentino, è considerato uno dei principali cameristi italiani. Ha studiato alla Scuola di Musica di Fiesole, diplomandosi al Conservatorio di Ferrara con il massimo dei voti. Tra i suoi principali maestri, Tiziano Mealli, Piero Farulli, Maria Tipo, Pier Narciso Masi; dopo il diploma ha frequentato masterclass con Alexander Lonquich, il Trio di Milano, Mstislav Rostropovich, Maurizio Pollini (all’Accademia Chigiana di Siena). Molto attivo anche come didatta e organizzatore, è docente di pianoforte presso il Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna e, dal 2021, direttore dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “R. Franci” di Siena.

In prossimità del concerto che li vedrà come protagonisti del secondo appuntamento della 52^ Stagione Concertistica, previsto per sabato 19 marzo 2022 all’Auditorium San Barnaba di Brescia, li abbiamo incontrati e abbiamo fatto loro qualche domanda.

 

Come nasce la vostra collaborazione?

Matteo Fossi – Ci siamo conosciuti nel 2017 a Chengdu, in Cina, ad un festival di musica da camera internazionale, dove c’erano anche altri importanti artisti provenienti da tutto il mondo. Io facevo parte della spedizione italiana e, quando ho visto Erica per la prima volta, che allora aveva solo 17 anni, mi hanno colpito subito la sua freschezza e la sua incredibile energia – caratteristiche normali per la sua età – ma allo stesso tempo ho colto in lei la profondità musicale di una grande professionista. Così, in quei giorni davvero indimenticabili, abbiamo condiviso diverse esperienze e da lì abbiamo deciso di continuare a suonare in duo, anche se sporadicamente. Non è un duo stabile, ma ci sono state diverse altre occasioni per suonare insieme e, per quanto mi riguarda, è una grande gioia, quindi spero che sia una collaborazione che vada avanti anche in futuro. 

Erica Piccotti – Come ha detto Matteo, ci siamo incontrati in Cina, e fin da subito c’è stata tra noi una forte complicità. Penso che una collaborazione musicale debba partire da una sintonia a livello personale, e così infatti è stato per noi. A Chengdu avevamo suonato insieme ma senza affrontare il repertorio in duo, per cui abbiamo trovato successivamente delle occasioni per suonare in duo. È una grande piacere suonare con Matteo, perché affrontiamo tutto con semplicità e divertimento.

 

In occasione del concerto del 19 marzo eseguirete brani di Brahms, Webern e Sciarrino. Quali sono gli autori a cui siete più affezionati e secondo quale criterio costruite un programma?

MF – È una domanda che lascia spazio a diverse possibili risposte. La compilazione di un programma è uno dei momenti più belli quando ci si avvicina a un concerto perché i criteri di scelta possono essere tantissimi, a partire da quello emotivo: ossia mettere insieme una serie di brani che sono cari alla propria formazione o a cui si tiene in modo particolare; allora si cerca di comporre un programma che ovviamente abbia un filo rosso.
In questo caso credo che l’idea di fondo sia di dimostrare che Brahms, come diceva Schoenberg, non è il compositore accademico che si pensava all’epoca (e come purtroppo, talvolta, si pensa ancora oggi) ma è un autore di una modernità sconvolgente. Pertanto, nel nostro programma abbiamo deciso di accostare alle celeberrime due Sonate per violoncello e pianoforte di Brahms, due brani molto diversi fra loro, ma che rappresentano uno squarcio nella musica del Novecento storico e nella musica contemporanea, ossia i Tre piccoli pezzi di Webern e Melencolia I di Sciarrino. Inoltre, notando alcune affinità armoniche e formali, abbiamo deciso di attaccare la Seconda di Brahms, senza soluzione di continuità, alla composizione di Sciarrino, creando un unico macro brano, che speriamo il pubblico possa apprezzare.
Per quanto riguarda gli autori che prediligo, Brahms è uno dei miei preferiti. Fa parte di quei compositori che, mentre stai suonando, ti portano a pensare: “Questo è il più grande di tutti!”. Lo stesso vale anche per Schumann, Schubert, Mozart, Beethoven, Bach o anche Bartok, ma dipende anche dalle fasi della vita.
EP – Per quanto riguarda i compositori a cui sono più legata, sicuramente anch’io amo Brahms. A parte il fatto che ha dedicato al violoncello questi due capolavori, capisaldi del nostro repertorio, anche tutta la sua produzione cameristica penso sia ogni volta un piacere affrontarla e suonarla. Un altro compositore che amiamo tutti e due è Schumann.

 

Erica, facendo riferimento alle tappe della tua carriera, quali consigli daresti a un giovane che intraprende la carriera musicale? Quanto contano, oltre allo studio, l’intraprendenza e la voglia di percorrere nuove strade?

EP – Penso che ogni percorso sia molto personale, però mi sento di dire che un’esperienza all’estero sia importante, perché ti mette alla prova in molti sensi: per vivere all’estero c’è bisogno di non essere troppo timidi e bisogna farsi valere, adattarsi, quindi, secondo me, è un’esperienza che ti fa crescere da tutti i punti di vista. Per un giovane musicista poi non è importante solo stare nella propria stanza a studiare, ma anche farsi sentire, andare alla ricerca di mentori e di gente che ti sproni e ti dia la voglia di migliorare ogni giorno. Stando nella propria stanza, ogni tanto ci blocchiamo, quindi serve prendere una boccata d’aria fresca per ricominciare e per cambiare prospettiva. Lo studio non è tutto, è importante anche fare esperienze e vivere la vita, perché la musica rispecchia, ovviamente, chi siamo.

 

Matteo, tu invece, essendo direttore di un Conservatorio, vedi da un’altra prospettiva i giovani, quindi quali sono i consigli che daresti loro?

MF – Ascoltavo con interesse la risposta di Erica e pensavo che è cambiato molto rispetto alla mia generazione,: quando studiavo io era molto più raro, dopo un diploma, ad esempio, andare a studiare e trasferirsi all’estero; adesso, invece, vedo che i ragazzi più in gamba tendono a fare questo tipo di esperienza. Non parlerei di fuga di cervelli: da musicista italiano mi fa piacere che i giovani italiani vadano a studiare all’estero, perché oltre ad imparare vanno anche a portare un’esperienza, che è quella che hanno vissuto nel nostro Paese, per poi magari tornare indietro e a loro volta arricchirci delle esperienze conseguite all’estero.
Per quanto riguarda i consigli, condivido quello che diceva Erica, cioè di non limitarsi a vedere la musica come un mestiere, ma come un modo di essere. Prima, durante le nostre prove parlavamo dell’importanza dell’ascolto: per un musicista è importante ascoltare, andare a sentire concerti, registrazioni. Questo è un consiglio che cerco di dare anche ai miei ragazzi, ogni giorno, perché ascoltando gli altri si impara anche ad ascoltare se stessi. È importante anche uscire dal repertorio: ad esempio, noi pianisti siamo molto attaccati al repertorio che abbiamo a disposizione, però è raro trovare giovani pianisti che si interessino del repertorio di musica da camera o sinfonico. È importante spaziare e avere un orizzonte il più ampio possibile, coltivando tanti interessi anche al di fuori della musica; come dico sempre, la musica è una delle poche discipline dell’essere umano che ha a che fare anche con tutte le altre, quindi essere curiosi è una ricchezza incommensurabile. Parlo da direttore di Conservatorio e noto che, dopo questi due anni difficili, bisogna riportare i giovani a divertirsi anche grazie alla musica: avere tante occasioni di suonare, di esibirsi, di mettersi alla prova.

 

Matteo, tu hai scelto di dedicarti soprattutto alla musica da camera, che cosa ti ha portato a fare questa scelta e cosa ti ha dato in più l’esperienza cameristica?

MF – Difficile parlare di scelta, perché molte cose te le porta la vita. Io ho avuto la fortuna di studiare, da ragazzo, alla Scuola di Musica di Fiesole, e quando avevo nove anni già suonavo in due duo e a quattordici anni è arrivato un quartetto che c’è tutt’ora, quindi per me suonare con gli altri è come respirare. Naturalmente anche l’articolazione della mia attività mi ha portato spesso e volentieri a privilegiare, sempre con grande naturalezza e piacere, la musica da camera rispetto a un’attività solistica che invece, paradossalmente, è arrivata un po’ più tardi. Ma sono felice di questo perché ho avuto la possibilità di vedere il mio strumento non solo a disposizione degli altri, ma anche all’interno di un contesto, non tanto come strumento solista per eccellenza, ma come lo strumento che da solo può imitare tutti gli altri, prendendone spunto. Dico sempre che il pianoforte è lo strumento con più difetti che io conosca, però ha la magia di riuscire a evocare le suggestioni che arrivano da tutti gli altri strumenti: dalla voce umana agli strumenti ad arco, a quelli a fiato.
Non saprei dirti cosa sarebbe successo se non fosse stato così, io suono questo e certo ciò mi ha cambiato e mi ha fatto crescere in un certo modo; mi sento un animale sociale, non mi ci vedo musicista senza altri strumenti, per me è un arricchimento quotidiano e costante.

 

Progetti per il futuro? Sia singolarmente che come duo.

EP – Nei prossimi mesi prenderò parte ad un concorso internazionale molto prestigioso, il Queen Elizabeth, quindi nei prossimi mesi sarò molto concentrata su quello. È un evento molto importante per tutti i violoncellisti a livello mondiale e sarà sicuramente un’esperienza magnifica e interessante, che mi metterà alla prova.
MF – Per un musicista, se si vivono le cose intensamente, ogni giorno vengono mille idee. Personalmente ti posso dire che da qualche mese mi sono imbarcato nell’impresa di diventare direttore di conservatorio perché volevo capire cosa si potesse fare anche in questa nuova veste, forse perché sono cresciuto con dei modelli che mi hanno trasmesso l’idea del musicista totale, perciò mi è difficile pensare il musicista con una sola sfaccettatura e con un solo obiettivo: dentro di me ne ho tanti, poi vedremo quello che riuscirò a realizzare; anche con Erica c’è un bel progetto sui Pezzi fantastici, che prima o poi faremo.

 

Se doveste lasciare al pubblico una vostra interpretazione di un brano, che cosa proporreste?

EP – Consiglierei un mio album in cui è presente la Sonata di Franck, che ho registrato qualche anno fa. È un brano che ho sempre ascoltato, sin da quando avevo circa sei anni. Avevo un’amica con cui suonavo in duo, ma non eravamo ancora in grado di affrontare un brano così complicato per vari aspetti, sia tecnici che interpretativi, per cui è passato diverso tempo prima di poterlo affrontare. A parte questo, è una Sonata che amo molto e credo che suoni molto bene sul violoncello, anche se è scritta per violino, quindi sono fiera di quello che possiamo fare noi violoncellisti su questa sonata.
MF – Mi viene in mente un momento di un disco su Debussy che incisi alla Fazioli, quando a un certo punto il tecnico del suono prese il cellulare e fece una registrazione in modo spontaneo: si tratta del primo pezzo di Estampes. Anche se non è la versione che è andata nel CD, riascoltandola mi piace.